Il caso Emma Marrone.
Stavolta non c’entra Belen e la reazione drammatica ma, lasciatemelo dire, televisiva assai ad un tradimento consumato sotto gli occhi della sua madrina; non è per l’inglese non pervenuto ma ugualmente ostentato; non c’entrano nemmeno i suoi problemi di salute che, seppur come il coniglio dal cilindro escono fuori ad hoc,meritano rispetto e silenzio, in primis il suo forse.
Stavolta non c’entra Belen e la reazione drammatica ma, lasciatemelo dire, televisiva assai ad un tradimento consumato sotto gli occhi della sua madrina; non è per l’inglese non pervenuto ma ugualmente ostentato; non c’entrano nemmeno i suoi problemi di salute che, seppur come il coniglio dal cilindro escono fuori ad hoc,meritano rispetto e silenzio, in primis il suo forse.
E’ solo la storia di un festival europeo del quale sapevamo poco e niente, di un piazzamento deludente e di un paese che insorge contro chi, alla partenza, giurava di portare a casa una vittoria.
Perché questo è il nocciolo della faccenda, la sicurezza a volte parente ad arroganza con cui Emma Marrone si è congedata prima di salire su un aereo che la portava a Copenaghen. << Se non vinco m’incazzo>> ipsa dixit.
Non è per un’esibizione basata su mutande dorate e poca voce, nemmeno per le dichiarazioni postume sulla barba di Conchita e sull’estraneità, lo speriamo tutti, di suor Cristina allo stesso showbiz cui appartiene, è solo perché, da sempre, allo sbruffone di turno che millanta imprese eroiche con quel pizzico detestabile di boria si risponde, davanti l’eventuale fallimento, tutti in coro con i fischi.
Mi perdonino la signorina Marrone e il suo entourage, se esiste ancora qualcuno che da quel coro di osanna vuole farsi fuori, mi scusino lor signori se adesso la storia che tutti vogliono incenerirla a prescindere mi resta sullo stomaco alla stregua del cibo danese per la stessa cantante.
Non sempre si vince, ci mancherebbe, ma quando si cade, fisiologica dovrebbe essere la capacità di incassare e sorridere, piuttosto che farcirsi la bocca di termini quali cattiveria, invidia e, quello per cui ho un’idiosincrasia genetica, rosicare… per non parlare di quante volte ci siamo sentiti chiamare antipatriottici solo perché ci siamo permessi di giudicare un’esibizione non proprio nelle nostre corde.
La strada sembra tracciata, come lei stessa afferma seguirà solo silenzio.
Ed oltre un utile ed umile esamino di coscienza, ad una che ha vissuto un anno in tv a fare il coach, ad una che non perde una testata cui rilasciare foto e dichiarazioni, prima della chiusa un consiglio vorremmo lasciarlo:
smetta di fare il personaggio e si decida a fare solo la cantante.
Daniela M.B.
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